Instabilità di Spalla: Come il Fisioterapista Guida il Percorso Riabilitativo

Il dolore alla spalla è la terza patologia muscolo-scheletrica più comunemente riscontrata nell’assistenza primaria. Questa condizione, che colpisce tra il 7% e il 26% della popolazione mondiale ogni anno, ha un impatto significativo sulla qualità della vita fisica e mentale del soggetto, più di qualsiasi altra patologia muscolo-scheletrica.

Oggi ci concentreremo su una causa molto comune di dolore alla spalla: l’instabilità di spalla. 

Questo disturbo si riferisce ad un eccessivo movimento della testa omerale sulla glenoide, che  causa dolore o apprensione al movimento. I pazienti possono provare paura ed una sensazione di instabilità nello svolgere determinati movimenti. Nella maggior parte dei casi la sensazione di instabilità “interna” è un fattore riportato in sede anamnestica, in altri casi invece è riscontrabile macroscopicamente durante l’esame obiettivo. 

Come classifichiamo le instabilità di spalla? 

La classificazione di Matsen, utilizzata prettamente in ambito ortopedico, distingue le instabilità di spalla in base alla natura: traumatica (con l’acronimo TUBS: traumatica, unilaterale, lesione di bankart, chirurgia ) e atraumatica (AMBRI: atraumatica, multi direzionale, bilaterale, riabilitazione, shift inferiore). 

La classificazione di Stanmore è invece uno dei principali modelli di riferimento in ambito riabilitativo. Questo modello, rispetto alla precedente classificazione descritta, pone un  accento sulle componenti che contribuiscono all’instabilità di spalla: gli elementi strutturali ( come la cuffia dei rotatori, capsula articolare, labbro glenoideo) e gli elementi non-strutturali (sistema nervoso centrale o periferico). 

Rispetto a questi presupposti, si delinea una prima categoria di instabilità “traumatiche strutturali” (di tipo 1, ovvero TUBS). In questo caso c’è un evidente evento traumatico, come ad esempio una caduta o un impatto, che causa dolore ed alterazione strutturale. Esempi di tali alterazioni includono fratture della glenoide, lesioni del labbro glenoideo o capsulare, e fratture della testa omerale, che descriveremo più dettagliatamente in seguito.

 

Le instabilità atraumatiche invece, si dividono in due categorie. Le “atraumatiche strutturali” (tipo 2), in cui persiste un’alterazione strutturale ma non a causa di un infortunio severo. Un esempio tipico è rappresentato dagli atleti che praticano attività ripetitive overhead, come i lanciatori nel baseball o i nuotatori. Questi atleti possono sviluppare lassità capsulare anteriore e lesioni di tipo SLAP, che li predispongono all’instabilità. Infine abbiamo, le atraumatiche con alterato pattern muscolare (tipo 3), dove i pazienti non presentano alterazioni strutturali direttamente correlate all’instabilità, ma presentano un pattern di attivazione muscolare alterato.

Il modello che utilizziamo è elastico e rappresenta un continuum di condizioni che possono variare nel tempo. I soggetti possono passare da una spalla di tipo 1 a una di tipo 2 o 3. Questo accade quando, a seguito di una lesione acuta, si verificano una serie di lussazioni secondarie in assenza di traumi significativi. Allo stesso modo, con il tempo, i movimenti antalgici e di compensazione possono portare a un’alterazione del pattern muscolare tipico del gruppo 3.

La difficoltà di questo sistema di classificazione è nel collocare i pazienti all’interno del triangolo. È semplice posizionare i pazienti TUBS al primo polo, ma per le altre categorie diventa complesso. Questo spiega perché Matsen ha proposto un modello a due gruppi.

 

Per questi motivi, un sistema di classificazione più semplice e pratico descrive le spalla come: worn loose, born loose e torn loose. 

Worn loose: nessun trauma o fattore genetico coinvolto, ma una sensazione di instabilità in pazienti attivi tra i 20 e i 40 anni quando svolgono attività ad alta richiesta (alti carichi ed alte velocità di esecuzione o con insorgenza della fatigue).

Born loose: nessun trauma, ma sono coinvolti invece fattori genetici (come la sindrome da ipermobilità o la sindrome di Elher-Dandlos) o congeniti (displasia della glenoide o defezioni del complesso capsulo-glenoideo). In questi pazienti la fa da padrone l’impossibilità di svolgere un compito (funzione) rispetto al dolore percepito, anche se talvolta è anch’esso da considerare. 

Torn loose: analogo alle instabilità di tipo 1 (TUBS), di natura traumatica. 

La distribuzione relativa delle diverse tipologie di instabilità di spalla tra i pazienti affetti da questa condizione sono: 75% per la Torn loose, 20% per la Born loose ed infine 5% per la Worn loose. 

 

Quali sono le direzioni di instabilità della spalla? 

 

La lussazione anteriore della spalla è la lesione più comune, rappresentando circa il 70% dei casi, di natura traumatica . Le altre direzioni di instabilità della spalla includono quella posteriore (25%, traumatica) e quella multidirezionale (5%, di solito atraumatica).


  • Instabilità di spalla anteriore 

 

Si verifica frequentemente durante attività sportive o a seguito di cadute, soprattutto quando la spalla viene forzata in abduzione, in rotazione esterna ed in estensione. Un classico meccanismo di lesione è il “FOOSH” (Fallen Onto an Outstretched Hand), ossia una caduta su una mano estesa con il braccio disteso di lato, tipica in sport come mountain bike, sci e calcio, oppure durante una stoppata nel basket o un placcaggio nel rugby.

 

Quali sono le principali alterazioni strutturali associate? 

 

Quando si verifica una lussazione anteriore, possono manifestarsi diverse irregolarità strutturali come conseguenza del trauma. Ecco le principali:

 

– Fratture ossee: 

 

1.Frattura della Glenoide (Bony Bankart): Questa frattura, che si verifica circa nel 20% dei casi, è spesso conseguente a episodi di contatto. Le radiografie o la risonanza magnetica aiutano a determinare l’estensione della frattura. Se il danno supera il 15% del diametro totale della glenoide, il rischio di instabilità ricorrente aumenta significativamente.

  1. Lesione di Hill-Sachs. Questa condizione si presenta nell’80% dei casi di lussazione anteriore. Consiste in un’abrasione sulla parte posteriore della testa dell’omero, che può provocare la formazione di un solco a causa del contatto con il bordo della glenoide durante la lussazione. Questa lesione può causare problemi quando la testa dell’omero non riesce ad articolarsi correttamente con la glenoide, andando così ‘fuori strada’ (dipende anche in questo caso dalla larghezza e dalla posizione della lesione).
  2. Frattura del Trochite (tuberosità maggiore dell’omero): Questa frattura è particolarmente comune tra gli atleti che hanno subito una ricollocazione spontanea dopo una lussazione. La contrazione muscolare intensa attorno alla testa dell’omero, necessaria per stabilizzare la spalla, può causarla. I pazienti con frattura del trochite sperimentano un dolore e una disabilità che spesso non sono proporzionali rispetto all’instabilità classica. Questa lesione può essere difficile da diagnosticare, poiché il 60% delle volte non è visibile nelle radiografie.

 

– Lesioni dei Tessuti Molli:

 

  1. Lesione di Bankart (Cercine Glenoideo): si verifica nel 97% dei casi di lussazione anteriore. La gravità della lesione, la sua dimensione e posizione, insieme alla presenza di altre strutture coinvolte, influenzano il rischio di instabilità ricorrente.
  2. Lesioni Capsulari o Legamentose: possono verificarsi insieme ad altre lesioni e influenzare la stabilità della spalla.
  3. Lesioni Muscolari: Spesso interessano la cuffia dei rotatori e sono più comuni in persone sopra i 40 anni.

 

– Lesioni Nervose: in particolare il nervo ascellare può essere coinvolto, causando ulteriori problemi sia sul versante motorio che sensoriale. 


  • Instabilità di spalla posteriore e multidirezionale 

 

La lussazione posteriore è la meno comune in una dinamica traumatica e avviene solitamente in cadute con il braccio disteso o in cadute sul gomito con l’arto superiore flesso. Spesso, le immagini diagnostiche non mostrano chiaramente una deformità, ma si può notare il cosiddetto segno della lampadina. Questo si riferisce all’aspetto anomalo della radiografia antero posteriore (AP) della testa omerale nella lussazione posteriore della spalla. Quando l’omero si disloca, ruota internamente, facendo sì che il contorno della testa appaia come una lampadina quando visto frontalmente.

Se dopo una dinamica traumatica coerente il paziente riporta molto dolore e una significativa restrizione di movimento, è opportuno sospettare una dislocazione posteriore. Anche in questi casi, possono manifestarsi diverse irregolarità strutturali come conseguenza del trauma, ma si trovano sul versante posteriore della spalla.

 

Infine, l’instabilità multidirezionale, che rappresenta il 5% dei casi, è generalmente atraumatica e deriva da fattori congeniti o ipermobilità (born loose).

 

Qual è il rischio di una recidiva di instabilità della spalla?

 

Il tasso complessivo di instabilità ricorrente a tutte le età è del 21%. Tuttavia, il rischio di recidiva dipende fortemente da una serie di fattori. In primo luogo, il fattore tempo trascorso tra una prima ed una seconda lussazione: il 90% delle rilussazioni si verifica entro due anni dall’evento d’esordio. L’età del soggetto gioca un ruolo cruciale; i soggetti giovani, specialmente attivi e che praticano magari uno sport da contatto, hanno un alto rischio di recidiva. Dal punto di vista strutturale: le fratture della glenoide (bony Bankart), associate ad alti livelli di dolore, paura e disabilità, hanno un alto rischio di seconda lussazione. 

 

Inoltre, il rischio di instabilità ricorrente non si riduce con l’immobilizzazione con tutore per un periodo superiore a 7 giorni. Pertanto, si consiglia di immobilizzare le spalle solo per un breve periodo di tempo e offrire al paziente la possibilità di muoversi appena possibile per ridurre l’atrofia muscolare, una perdita dal punto di vista propriocettivo e le ansie e paure legate al movimento.

 

Alcuni aspetti da indagare durante l’ anamnesi:

 

Quando si tratta di instabilità della spalla, ci si trova spesso di fronte a soggetti giovani che praticano sport da contatto. In questi casi sono frequenti lussazioni anteriori dovute a meccanismi di infortunio chiari e traumatici.

Per prima cosa quindi è fondamentale chiedere se c’è stato un chiaro meccanismo di infortunio traumatico e collocarlo temporalmente. Bisogna indagare la sensazione percepita dal paziente in termini di dolore, instabilità percepita e paure legate al movimento. Valutare se si tratta di un primo episodio isolato o di un evento occasionale (2-5 volte) o ricorrente (>5 volte), poiché entrambi i casi sono considerati fattori prognostici negativi. 

Una volta individuata la direzione della lussazione, è necessario valutare la severità: se ha richiesto una riduzione manuale o se si è ricollocata da sola. Inoltre, bisogna valutare i movimenti provocativi: per una lussazione anteriore, ad esempio, può essere il gesto di toccare dietro la testa, mentre per una lussazione posteriore potrebbe essere il movimento di spingere una porta.

 

Nei casi di instabilità multidirezionale, senza una chiara storia traumatica, può essere utile eseguire un Beighton Score per valutare l’eventuale ipermobilità articolare.

 

Cosa valutare? Quali test fare?

 

Da eseguire 6 settimane dopo il primo episodio traumatico (instabilità anteriore di spalla): 

 

  • Apprehension test
  • Relocation test

 

In caso di positività si incrementa il sospetto che il paziente possa avere un maggior rischio di recidiva. 

 

Per un’instabilità posteriore di spalla:

 

  • Jerk test 

 

Ad essi si accompagnano l’osservazione della qualità e quantità di movimento, la valutazione della forza muscolare (monitorando il dolore) ed una attenzione particolare al nervo ascellare, per quanto riguarda la sensibilità e forza del deltoide.

 

Chirurgia o trattamento? 

 

Il trattamento dell’instabilità di spalla può essere sia chirurgico che conservativo. 

I pazienti giovani, dopo una lussazione traumatica e che praticano attività demandanti (come sport ad alte velocità e con elevati livelli di forza) con movimenti a range estremo, sono i principali candidati per l’intervento chirurgico.

Con la stabilizzazione chirurgica si riduce il rischio di instabilità nei due anni successivi (si passa da un 90% ad un 50%). 

La presenza di una lesione ossea di Bankart ed un’elevata apprensione al movimento sono altre due condizioni che candidano il paziente all’opzione chirurgica. Negli altri casi si consiglia un approccio conservativo: con l’obiettivo di costruire capacity, migliorare la forza muscolare e migliorare la coordinazione dei muscoli stabilizzatori attivi attorno alla spalla, attraverso l’esercizio terapeutico ed un’esposizione graduale ai movimenti significativi. 

 

Conclusione 

 

Il fisioterapista ricopre un ruolo essenziale nella gestione di questa patologia complessa, sia nell’ambito di un approccio conservativo che durante il periodo post-chirurgico. È fondamentale effettuare delle valutazioni accurate e considerare attentamente le opzioni terapeutiche insieme al paziente. 

Questo implica avere una comunicazione trasparente in quanto a  tempistiche previste, sui potenziali benefici di ciascun approccio e su come questi possano influenzare il decorso della malattia. 

Inoltre, è fondamentale guidare il paziente attraverso un iter riabilitativo, basato sull’esercizio terapeutico, al fine di promuovere l’auto-efficacia nella gestione del dolore e della paura al movimento, e per migliorare la funzione.

 

BIBLIOGRAFIA:

 

Brownson P et al. BESS/BOA pathways: Traumatic shoulder instability. Shoulder Elbow. 2015;7(3):214-26. doi: 10.1177/1758573215585656.

 

Eljabu W et al. Natural course of shoulder instability: a review. J Orthop Traumatol. 2017;18(1):1-8. doi: 10.1007/s10195-016-0424-9.




Articolo scritto in collaborazione con Lorenzo Deretti

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