Riabilitare la protesi inversa di spalla

INTRODUZIONE

Hai mai sentito parlare della protesi inversa di spalla? Se la risposta è negativa, sappi che in Italia vengono impiantati ogni anno oltre 200.000 protesi, tra cui anche le protesi di spalla. Con questo, approfondire l’argomento è d’obbligo per chi si occupa di Riabilitazione.


Protesi inversa di Spalla: di cosa si tratta?

Nel 1987, Paul Grammot, chirurgo francese, ideò la protesi inversa di spalla (Reverse Shoulder Arthropalsty, RSA), chiamata così perché la conformazione della superficie articolare dell’omero e della scapola è a parti inverse rispetto al normale profilo anatomico della spalla: la testa dell’omero è concava mentre la glena, convessa. La protesi è quindi formata da: una “glenosfera”, fissata su una metaglena non cementata, avvitata al collo della scapola, e da una “coppa omerale”, fissata allo stelo diafisario, che può essere cementata o non cementata.


Chirurgia: Indicazioni e vie d’accesso

L’ RSA nasce come soluzione alle deformazioni articolari conseguenti ai processi artritici e associati a deficit di cuffia, con forte instabilità e rischio di lussazioni.

Oggigiorno, questo tipo di impianto è indicato a chi presenta una patologia avanzata dell’interfaccia gleno-omerale, con dolore persistente e cuffia dei rotatori funzionalmente inefficace. In particolare, oltre l’artrite, in questa categoria rientrano l’artrosi, l’osteonecrosi, revisioni di impianti, fratture omerali prossimali e artropatie da rottura della cuffia dei rotatori.

Per quanto concerne le vie d’accesso chirurgiche invece, ne esistono di 3 tipi: l’accesso transdeltoideo, deltoideo-pettorale e antero-laterale. Il primo menzionato, consente un’esposizione migliore della cavità glenoidea, facilitando l’operato del chirurgo; tuttavia, espone al rischio di lesione del nervo ascellare, impattando in modo estremamente negativo sulla prognosi. Viceversa, l’accesso deltoideo-pettorale evita lesioni al deltoide, consentendo di lavorare sul muscolo a partire dalle prime fasi riabilitative. Per questo motivo, è la via chirurgica più utilizzata.

 

Biomeccanica

La nuova conformazione anatomica comporta un profondo stravolgimento delle regole biomeccaniche; infatti, la forma della coppa omerale fa sì che il centro di rotazione si sposti medialmente. Questo porta a cambiamenti sia nella stabilità articolare che nel reclutamento motorio.

Per quanto riguarda la stabilità, il vantaggio biomeccanico sta nel convertire le forze di coppia in forza di compressione, favorendo una migliore integrazione dei componenti e compattezza, precedentemente perduta.

Per quanto riguarda, il reclutamento motorio, questa modificazione anatomica porta ad un aumento del 42% del braccio di leva del deltoide, che diventa il muscolo principale dell’elevazione, grazie anche all’abbassamento dell’omero che ne aumenta la tensione e l’efficienza.

Di contro si presentano alcuni svantaggi: il grande dorsale e il grande rotondo subiscono un aumento dei bracci adduttori ed estensori, limitando direttamente la loro partecipazione alla rotazione interna ed esterna attiva. Tuttavia, questo problema può essere risolto con l’aggiunta di un trasferimento del tendine o modificando il classico design RSA in uno “lateralizzato”.

Inoltre, la superficie articolare dell’omero, rispetto alla conformazione precedente, non è più convessa ma concava, viceversa la glenoide. Questo vuol dire che l’omero, sulla glena, non effettuerà più un rotolamento associato a scivolamento nella direzione opposta del movimento, ma nella medesima direzione, perdendo, difatti, l’ampio range di movimento gleno-omerale. Infatti, il movimento della spalla si svilupperà per 1/3 a livello glenomerale e per 2/3 a livello scapolo-toracico.


Complicanze

Durante l’intervento chirurgico possono accadere eventi inattesi e insperati, legati a complicanze operatorie, con danni alle strutture vasculo-nervose, fratture intraoperatorie, infezioni o ematomi. Tuttavia, ben più tipiche complicanze, per questo tipo di impianto, sono:

la lussazione della sfera glenoidea, che avviene prima che i tessuti pericicatriziali siano guariti, e usura del polietilene dell’impianto, quando, ad arto addotto, la coppa omerale e la porzione inferiore del collo scapolare entrano in conflitto.

 

Fasi Riabilitative

Per la buona riuscita del percorso riabilitativo dobbiamo, sicuramente, tener conto di quanto detto nei precedenti paragrafi ma, è altrettanto fondamentale conoscere le condizioni preoperatorie del paziente e strutturare un piano di trattamento in armonia con le indicazioni del chirurgo ortopedico.

Fase 1° (1-6 settimane circa)

Inizialmente, uno degli obiettivi principali del nostro trattamento deve riguardare “la protezione dell’impianto”, in modo tale da favorire l’integrazione della protesi e la guarigione dei tessuti peri-cicatriziali. Sono quindi individuati dei movimenti che potrebbero mettere a rischio la sicurezza dell’impianto; in particolare, i movimenti di rotazione interna e adduzione associati all’estensione, per cui è fondamentale educare il paziente ad evitarli. Nella pratica diremo loro di:

        Non sollevare oggetti

        Non fare nessun movimento dietro la schiena, come prendere il portafogli dalla tasca posteriore

        Non sollevare il proprio peso con le mani

Nelle prime 4 settimane (seguite da progressivo abbandono) sarà fondamentale l’utilizzo del tutore, che dovrà essere rimosso solamente per manovre di igiene e mobilizzazioni. Anche la ferita dovrà essere mantenuta pulita, e controllati l’infiammazione e il dolore mediante crioterapia (non più di 15 minuti di seguito) associata a dolci mobilizzazioni.

Il recupero del rom articolare potrà iniziare dalle prime settimane. Il terapista inizierà con lente mobilizzazioni in flessione e abduzione, trascurando, inizialmente, la rotazione interna. L’esecuzione deve essere indolore, fino a 90° di flessione, 45° di abduzione e 20° di rotazione esterna sul piano scapolare. Dalla 3° settimana circa l’obiettivo potrà prevedere i 120° di flessione, 90° di abduzione, 20° di rotazione esterna e introdurre la rotazione interna a omero abdotto di 60°.

Data la nuova conformazione articolare, il deltoide acquisisce il ruolo di muscolo elevatore principale; detto questo, è facile comprendere che sia proprio questo muscolo a cui dedicare particolari attenzioni. In una prima fase, parallelamente agli interventi per il ripristino del ROM, si procederà ad una riattivazione del deltoide con l’obiettivo di riacquistare il trofismo e la forza. Inizialmente, introdurremo mobilizzazioni attive-assistite per poi chiedere, quando tollerate, contrazioni isometriche submassimali contro resistenza manuale, in varie posizioni, ma comunque sia all’interno dell’arco non doloroso. Poiché il braccio non deve andare in estensione, nella prima fase, è da evitare la contrazione attiva del deltoide posteriore. In base alle caratteristiche e le condizioni del paziente verranno stabilite poi le adeguate progressioni.

Anche il recupero del trofismo della muscolatura periscapolare è importante, dato il contributo del movimento scapolare al range della spalla. Inoltre, dato il comune riscontro clinico della predisposizione da parte dei pazienti di maturare quadri di discinesia scapolare, sarà nostro compito introdurre semplici esercizi in scarico per favorire il controllo motorio.

Altrettanto importante è mantenere la funzionalità di quei segmenti non coinvolti dall’atto chirurgico, come il gomito, il polso e la mano mediante mobilizzazioni attive.

Fase 2° (6-12 settimane circa)

Nella fase intermedia si procederà nel recupero della mobilità, grazie anche ad ausili come la carrucola e il bastone.  Progressivamente si aumenterà il range articolare su cui lavorare con flessione da 130° a 180°, con l’obiettivo, entro la 12° settimana di ripristinare la completa mobilità di spalla. Questo non sempre sarà possibile a causa delle ormai condizioni critiche preoperatorie.

Compito fondamentale del fisioterapista sarà quello di minimizzare le componenti compensatorie ed enfatizzare le componenti deficitarie.

Inizieremo esercizi propriocettivi e introdurremo, se possibile, esercizi con contrazione auxotonica (elastici) a intensità crescente, ma adeguata.  Inoltre, in tutta la fase 2° resta importante evitare le attività di sollevamento e movimenti improvvisi. Tuttavia, per favorire il ritorno alla quotidianità alla fine di questa fase gli obiettivi saranno di poter tornare a guidare e sollevare oggetti leggeri.

Fase 3° (12-16 settimane circa)

Nella fase “finale” dovremmo mirare al ritorno alle attività funzionali, percorso che dovrebbe iniziare già a partire dalla fase precedente. Affianco al classico rinforzo muscolare, nel piano di trattamento dovranno essere inseriti esercizi per promuovere la coordinazione motoria e per il recupero della stabilità dinamica.

Anche se questa è considerata l’ultima fase, il da farsi non deve concludersi qui. Il fisioterapista dovrebbe insegnare esercizi e promuovere attività per un corretto stile di vita in modo che, il paziente, possa continuare in autonomia il proprio recupero e mantenimento dei risultati raggiunti.

 

Conclusioni

Gli interventi per protesi inversa di spalla sono molto comuni ed è previsto un forte incremento nei prossimi anni. È perciò fondamentale conoscere quali siano le caratteristiche di questo impianto, dalle proprietà biomeccaniche alle modalità chirurgiche; solo in questo modo il fisioterapista sarà in grado di fare una corretta diagnosi (funzionale) e attuare interventi adeguati.

 

Citazioni
  1. Goetti P, Denard PJ, Collin P, Ibrahim M, Mazzolari A, Lädermann A. Biomechanics of anatomic and reverse shoulder arthroplasty. EFORT Open Rev. 2021 Oct 19;6(10):918-931. doi: 10.1302/2058-5241.6.210014. PMID: 34760291; PMCID: PMC8559568.
  2. Ferrari S., Pillastrini P., Testa M., Vanti C.; “Riabilitazione post-chirurgica del paziente ortopedico”; EDRA; 2021.
  3. Walker M, Brooks J, Willis M, Frankle M. How reverse shoulder arthroplasty works. Clin Orthop Relat Res. 2011 Sep;469(9):2440-51. doi: 10.1007/s11999-011-1892-0. PMID: 21484471; PMCID: PMC3148368.

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